Anime evanescenti
Percepibile solo allusivamente attraverso resti, tracce, indici, spiritismo e movimenti altrimenti inesplicabili, l’Anima non dice, si tradisce. Non si presenta, si lascia sfuggire. Incomprimibile, passa dallo stato solido al gassoso, direttamente, senza attraversare quello liquido: non evapora, sublima. L’anima non ha peso, se non morale. Anima irrappresentabile, spesso impresentabile. Talvolta incosciente, sempre evanescente.
Anime invisibili, ineffabili, ma anche acquistabili come le Anime morte di Gogol’. Malgrado i legittimi dubbi sulla sua l’esistenza, l’anima dispone sempre di un acquirente, il diavolo, pronto ad offrire qualsiasi prezzo per possedere l’anima in vendita.
Di frequente è pensata come anima individuale, irriducibile res cogitans inafferrabile scavata nelle regioni abissali nel profondo del giardino più privato, sostanza più pura e declinazione più idiografica, espressione soggettiva unica, lirica dell’ipseità, capace di sentirsi a casa solamente dentro se stessa. Tautologica, incastonata in un involucro di diamante, trasparente e resistente, ma fragile e coincidente con l’identità personale. Solipsistica, riflessiva e autonoma. Autoreferenzialità e autodichia dell’Anima governata solo da se stessa. Densità assoluta pronta ad implodere in un luogo oscuro e inaccessibile. Coriacea e corazzata. Altrimenti ecceità, quid differenziale, oltre qualsiasi dialettica del negativo, o coscienza infelice, più che trascendente, situata nel differire, non situata nel lontano, ma nell’allontanarsi.
Vittorio Simonini, artista, cappello in testa, eccentrico compagno di poetica resistenza, instancabile nell’utopia, con la febbre della poesia negli occhi, posseduto da pazienza inattuale come se il tempo fosse tutto a disposizione, o come se non vi fosse più alcun tempo a disposizione.
La poetica delle anime scolpite nei fogli di carbonato trasparente si fonda sull’impiego di materia povera e di scarto, un concentrato di elementi di carbonio perduto, come materia stellare, struttura fondamentale nella chimica della vita, plasmata secondo un rituale demiurgico, un gesto di creazione attraverso un atto sciamanico fondato sull’impiego di un elemento fondamentale e ancestrale come il fuoco. Una pirografia, una scrittura col fuoco: ignizione di policarbonato geneticamente modificato, poeticamente modellato. I gesti circolari impressi dall’artista col marchio del fuoco diventano embrioni semiotici, polisemici significanti di una dinamica di senso centrifugata in uno slancio vitale creativo. Sono graffiti primordiali, una impronta biologica che feconda la vita nel fango primordiale della materia informe. Dinamica spirituale inscritta sulla struttura materiale, impulso di semiosi allo stato nascente. Puro istinto della forma che genera un andamento archetipico a spirale. Un movimento che ripete un’onda cosmica, il disegno ellittico erratico di una galassia in fuga. Il fuoco all’impatto con la superficie crea effetti particolari di incrinature e linee di frattura che ricordano forme organiche. Un gioco di echi eccentrici in un mare di rifrazioni. Riemergono sulla superficie lembi di esistenze vaganti, trapiantate, dislocate ed accartocciate ad un passo dalla completa dissipazione. Segni sempre più rarefatti e quasi graffiati, abrasi nel puro intreccio di linee di una filigrana di vibrazioni intessute in sottili fibre nervose, linee di tensione febbrile disegnate da esalazioni di calore: la trascendenza della forma nei dintorni del fuoco. Nella materia si crea un vuoto d’aria da riempire, una voce introiettata, un grido trattenuto, respinto nelle profondità gutturali dell’anima. Apnea amniotica cristallizzata nel respiro, anima e pneuma in una bolla di vetro, eternamente trasparente. L’esilio nell’ enclave autoreferenziale nell’ossessione dell’identità.
Vittorio Simonini intende dare corpo all’incorporeo, penetrando il mistero della conversazione di un’anima con se stessa mostrando il ronzio vorticoso della germinazione, il suo instabile carattere libero e mobile. Il ruolo dell’artista ricalca quello di un custode dell’autenticità attraverso la cura della spontaneità e della purezza dello sguardo, unendo l’innocenza e la miracolosa forza della fragilità. Siamo dove sogniamo – sembra suggerire l’artista – dove si promette l’impossibile, dove si disattende ogni principio di realtà, dove anime sconosciute si scoprono simultanee, implicate senza nessuna ragione apparente, senza alcuna ragione sufficiente.
Anime apolidi, fantasmi sulla cresta di onde anomale. Monadi chiuse e compiute, microcosmi autoreferenziali adiacenti ma non comunicanti. Distillati visivi di anime in transito.
Vittorio Simonini attraverso le sue performance e le sue opere alimenta il fuoco di una continua tensione interna di irriducibile autenticità di artista e di integrità personale. L’anima vive l’aspirazione alla pienezza della vita nella consapevolezza della ineludibile responsabilità personale e del coinvolgimento nel mondo. Dare forma alla propria arte coincide col plasmare la propria anima, un processo auto-poietico di creazione e di cura di sé. Attraverso il fuoco, per bruciarsi o temprarsi. In uno slancio iconoclasta l’artista incendia proprie sculture: smarrimento e concentrazione nella combustione. Come un monaco buddista, il darsi fuoco è un atto di fede nella possibilità di trasformare il mondo attraverso il rituale di un sacrificio personale. Uccidere le proprie opere per salvare l’autenticità del proprio essere artisti. Nel film Nostalghia di Andrej Tarkovskij, ambientato in alcuni luoghi suggestivi di una Toscana struggente e malinconica, un artista inquieto, compie un rito attraversando la piscina termale di Bagno Vignoni con una candela in mano cercando di mantenere accesa la fiammella, dopo numerosi tentativo riesce ad avere successo ma finisce per subire un attacco di cuore. Nello stesso film un eccentrico personaggio decide di immolarsi pubblicamente, dandosi fuoco con un gesto estremo di protesta, quasi una performance senza ritorno di body art, un richiamo estremo al potere salvifico della innocenza e della gratuità assoluta del dono della vita per suscitare attenzione sul nostro apocalittico destino comune. Del testamento artistico di Andrej Tarkovskij, il film Sacrificio, si ricorda la interminabile sequenza memorabile dell’incendio della casa lungo tutto un piano-sequenza fino alla completa distruzione della dimora e della memoria che porta con sé. L’arte e la verità comporta la profanazione dell’io e di ciò che ci è più caro, per andare oltre, per superarsi. Lo stesso protagonista della pellicola, contro ogni principio di razionalità, decide di tentare di guarire seguendo il rituale del prendersi cura di un albero rinsecchito, irreversibilmente inaridito e devitalizzato, senza alcuna speranza, continuando ostinatamente ad innaffiarlo di acqua, fino all’inaspettato miracolo della rifioritura.
I filosofi eretici come Giordano Bruno si bruciano in piazza, i poeti romantici come Shelley si cremano in spiaggia. Nei resti di carte ustionate le parole illeggibili della sopravvivenza garantita dall’inestinguibile fuoco sacro della poesia, nella metamorfosi organica il fuoco fatuo della decomposizione del corpo e la sopravvivenza nella luce.
La trasmigrazione delle anime nei cicli di reincarnazione e purificazione, l’evanescenza delle anime in un movimento incessante di metempsicosi inafferrabile e incomprensibile. Lungo il percorso di attraversamento dei cicli di perfezionamento dell’essere, l’anima può raggiungere il nulla della perfezione e la perfezione nel nulla. Ma può anche, raggiunta la propria perfezione, attendere infinitamente che anche tutte le altre anime ancora impure percorrano tutto il percorso mancante di purificazione. Una lunga paziente attesa fino a che anche l’ultima anima abbia percorsa tutti gli stadi di purificazione, per poi finalmente raggiungere, insieme, l’illuminazione e l’evanescenza.
Vittorio Raschetti